“La mia idea è che essi non dipendano da misteriose cause genetiche, immunologiche, auto immunologiche, come propone la medicina ufficiale, fatti mai dimostrati, ma che piuttosto derivino da una semplice aggressione fungina, non visualizzata, né studiata nella sua dimensione intima connettivale. Durante i molti anni in cui ho studiato i tumori, cioè le atipiche colonie fungine, ho potuto constatare che l’unico mezzo per distruggerle ed impedire che si rinnovino, consiste nel somministrare forti concentrazioni di sali, in particolare modo Bicarbonato di Sodio, da far assumere in maniera peculiare rispetto alla sede del cancro.
Non a caso, egli continua, se si osserva bene il comportamento in natura dei funghi, si nota che essi non attecchiscono mai in prossimità di luoghi fortemente salini, ad esempio in vicinanza di sacche idriche termali ecc.…….La mia terapia, cioè il trattamento con i sali, è da combinare con una terapia ricostituente contemporaneamente al trattamento con i sali; i cancri sono derivati dai funghi come la sclerosi multipla e la psoriasi ed oggi li si può trattare solo con i sali”.
Estratto:
Il presente lavoro intende richiamare l’attenzione sul possibile ruolo eziologico dei funghi nella malattia tumorale, in particolare della Candida Albicans.
Partendo difatti dalla loro infinita capacità di adattamento a tutti i substrati biologici, nonché dalla loro estrema potenzialità patogena, di molto superiore ad ogni altro micro-organismo, non risulta ormai più accettabile una loro collocazione in quello spazio indefinito e indefinibile che comprende i cosiddetti patogeni occasionali.
Se, come è noto, i funghi sono in grado di attaccare qualsiasi sostanza organica, specialmente quella in via di degradazione, allora è possibile ipotizzare un loro attecchimento nell’intimità dei tessuti, laddove particolari condizioni contingenti lo permettano.
Un trattamento finalizzato alla loro eradicazione deve quindi tenere conto sia della loro diffusibilità che della loro complessità biologica, cosa che non può essere ottenuta oggi né con le terapie oncologiche, né tantomeno con quelle antimicotiche.
Vengono illustrati 7 casi, trattati in maniera peculiare e risolutoria con il bicarbonato di sodio, una sostanza alcalina molto diffusibile e quindi notevolmente attiva contro la Candida in tutte le sue manifestazioni; essi possono indicare un nuovo modo di procedere in campo oncologico.
Solo abbandonando la tesi oncologica universalmente condivisa, che il tumore cioè derivi da un’anomalia riproduttiva cellulare, e reimpostando tutta la ricerca in un’ottica infettiva micotica, è lecito sperare nella definitiva sconfitta del cancro.
Premessa:
Lo scritto che si propone trova la sua ragione d’essere nella convinzione, supportata da tanti anni di studi, osservazioni, riscontri ed esperienze cliniche, che la causa necessaria e sufficiente del tumore vada ricercata nell’immenso mondo dei funghi, i micro-organismi più adattabili, più aggressivi e più evoluti che si conoscano in natura.
Varie volte ho tentato di trovare ascolto presso gli organi istituzionali competenti (Ministero della sanità, Istituto Nazionale Tumori, Associazione oncologica medica italiana, ecc.) esponendo il mio sistema di pensiero e di cura; non essendo io risultato inquadrabile, però, in un contesto convenzionale, e quindi non ritenuto credibile, sono stato semplicemente accantonato.
Un areopago diverso da quelli già sondati, rappresenta la speranza di avere la possibilità di divulgare una concezione sulla salute diversa da quelle del panorama medico attuale, sia dalle posizioni ufficiali che da quelle definite collaterali.
Nella contrapposizione difatti tra un ideale medico allopatico e un ideale che si definisce di stampo prettamente ippocratico, esiste oggi una situazione in cui agli uni viene addebitata l’incapacità di considerare l’individuo in maniera globale, con tutte le distorsioni e aberrazioni connesse con un simile modo di vedere (superspecialismo, aggressività terapeutica, superficialità, nocività ecc.); agli altri viene rimproverato il carattere di non scientificità, di genericità, di mancanza di incisività terapeutica.
La posizione da me propugnata invece rappresenta il punto di incontro tra le due impostazioni sanitarie descritte, in quanto sotto il profilo concettuale le valorizza e le sublima entrambe, evidenziando come in realtà siano vittime di un comune linguaggio conformista.
L’ipotesi difatti di una eziopatogenesi fungina nelle malattie cronico-degenerative del nostro tempo, essendo in grado di congiungere i contenuti etici dell’individuo con lo sviluppo di patologie specifiche, rende ragione delle due anime della medicina, quella allopatica e quella olistica, proponendosi così con forza come quell’anello mancante della psicosomatica tanto ricercato da uno dei suoi padri, Wiktor Von Weiszäcker, ma mai trovato.
Nella dimensione biologica dei funghi ad esempio, è possibile rapportarne i diversi gradi di patogenicità relativamente allo stato degli organi, dei tessuti, delle cellule di un organismo ospite, a sua volta dipendente anche e soprattutto dal comportamento dell’individuo.
Ogni volta che si superano le capacità di recupero di una determinata struttura psicofisica, inevitabilmente, pur con le eventuali concause accidentali, ci si espone all’aggressione (fin nelle dimensioni più intime) di quegli agenti esterni che altrimenti rimarrebbero innocui.
Esistendo quindi un nesso indubitabile tra morale e malattia, non appare più lecito tenere distinti due domini (allopatico e naturopatico) che risultano ambedue indispensabili per il miglioramento della salute degli individui.
La scissione platonica dell’uomo in anima e corpo, rea dell’attuale nefasta impostazione meccanicistica e fisicalista della medicina attuale, così come pure la pessimistica posizione Kantiana riguardo a un’integrazione tra contenuti razionali e passionali dell’individuo (“il cielo stellato sopra di me, la legge morale dentro di me”), generatrice dell’attuale miope epistemologia medica, hanno fatto ormai il loro tempo, e con esse tutti i sistemi di pensiero derivati da simili impostazioni teoriche restrittive e riduttive.
Candida Albicans: causa necessaria e sufficiente del tumore:
Nell’affrontare il problema medico odierno più urgente, il tumore, la prima cosa da fare è riconoscere che ancora non si conosce la sua vera causa.
Pur se trattato difatti in vari modi, sia dalla medicina ufficiale che da quelle collaterali, permane tuttora un alone di mistero sul suo reale processo di generazione.
Il tentativo di superare lo stato di impâsse attuale deve allora necessariamente passare per due fasi: una critica, che metta a nudo i limiti dell’attuale oncologia, l’altra propositiva che esponga un sistema di cura basato su nuovi presupposti teorici.
In accordo con le più recenti impostazioni di filosofia della scienza, che suggeriscono un atteggiamento controinduttivo (1) laddove sia impossibile trovare una soluzione con gli strumenti concettuali comunemente accettati, emerge, come unica impostazione logica ammissibile, quella di rifiutare il principio su cui si fonda l’oncologia, cioè che il tumore sia determinato da un’anomalia riproduttiva cellulare.
Se si mette in discussione però una simile ipotesi di partenza, appare chiaro come tutte le teorie che da essa derivano, risultano inevitabilmente improponibili.
Ne consegue che sia un processo autoimmunologico, secondo il quale gli elementi preposti alle difese contro gli agenti esterni indirizzano la propria capacità distruttiva nei confronti dei costituenti interni, sia un’anomalia della struttura genetica, che prevederebbe uno sviluppo implicito in direzione autodistruttiva, risultano inevitabilmente squalificati.
Tentare poi, come spesso accade, di propugnare una teoria della pluricausalità con effetto oncogeno sulla riproduzione cellulare, ha più il sapore di un inane paravento dietro il quale purtroppo non s’intravede via d’uscita, dal momento che proporre infiniti motivi più o meno associati fra loro significa in realtà non individuarne nessuno valido.
Invocare così di volta in volta il fumo, l’alcool, le sostanze tossiche, le abitudini alimentari, lo stress, gli influssi psicologici ecc., in mancanza di direttive produce solo confusione e rassegnazione, con il risultato di ammantare di mistero una malattia che potrebbe essere alla fin fine molto più semplice di come la si dipinge.
A titolo informativo è utile svelare poi, una volta per tutte, il quadro delle presunte influenze genetiche nello sviluppo dei processi tumorali, così come sono descritte dai biologi molecolari (di quegli studiosi cioè ai quali compete la ricerca degli infinitesimi meccanismi cellulari vitali, ma che in realtà non hanno mai visto un paziente), e sul quale si basano tutti i sistemi medici attuali, e quindi ahimè tutte le terapie attuali.
L’ipotesi portante di una causalità genetica in senso neoplastico si riduce essenzialmente al fatto che le strutture e i meccanismi preposti alla normale attività riproduttiva cellulare, per cause imprecisate assumono in un determinato momento un atteggiamento autonomo e svincolato rispetto alla globale economia tissutale.
I geni allora che normalmente svolgono un ruolo positivo nella riproduzione cellulare, vengono chiamati proto-oncogeni in un ottica deviata; quelli che la inibiscono, sono chiamati geni soppressori o oncogeni recessivi.
Fattori cellulari sia endogeni (in realtà mai dimostrati), sia esogeni, cioè tutti quegli elementi cancerogeni usualmente invocati, vengono ritenuti responsabili della degenerazione neoplastica dei tessuti.
Nello J. H. Stein (Milano 1995) viene riportato quanto segue:
I segnali mitogenici, dal microambiente o da aree di influenza più distanti, vengono comunicati alle cellule attraverso numerose strutture recettoriali associate alla membrana plasmatica.
Tra queste strutture, le più esaurientemente studiate sono i recettori con un dominio esterno per il legante, un dominio transmembrana e un dominio citoplasmatico avente attività tirosinchinasi.
Oltre a questi si pensa che almeno sette distinte classi di molecole partecipino alla trasmissione del segnale mutageno:
1) Recettori accoppiati a proteine G.
2) Canali ionici.
3) Recettori con attività intrinseca guanilato ciclasi.
4) Recettori per molte linfochine, citochine e fattori di crescita (interleuchina, eritropoietina, ecc.).
5) Recettori per l’attività fosfotirosina fosforilasi.
6) Recettori nucleari appartenenti alla famiglia supergenica del recettore per gli ormoni steroidei, estrogeni, tiroidei.
7) Infine prove sempre più numerose suggeriscono che le molecole di adesione espresse sulle superfici delle cellule comunicano con il microambiente in modi che producono conseguenze molto importanti sulla crescita e sulla differenziazione cellulare.
Ad un analisi appena superficiale di questo presunto quadro oncogeno, però, sembra evidente come tutta questa irrefrenabile iperattività genetica, partorita da elementi che stanno al confine tra l’oscuro ed il mostruoso, e che quindi fanno presagire chissà quali meccanismi abissali decifrabili con meccanismi concettuali altrettanto abissali, non può far altro che svelare l’abissale idiozia che sta alla base di un simile modo di impostare le cose.
Il fatto ancor più grave poi, è che nessuno nel panorama sanitario attuale mette in dubbio siffatte imbecillità, ma tutti gli addetti ai lavori non fanno altro che ripetere la stantia litania dell’anomalia riproduttiva cellulare su base genetica.
In questo stato di cose allora, esibendo la teoretica medica attuale una pochezza e una superficialità queste si abissali, conviene cercare nuovi orizzonti e strumenti concettuali, in grado di far emergere la reale ed unica eziologia neoplastica.
Dopo tanti anni di fallimenti e di sofferenze, è ora di svecchiare menti e mentecatti (in senso etimologico), con linfa nuova e produttiva: i misteriosi e complicati fattori genetici, la mostruosa capacità riproduttiva di un’entità patologica capace di scompaginare qualsiasi tessuto, l’implicita ancestrale tendenza dell’organismo umano a deviare in senso autodistruttivo o altre simili argomentazioni, condite peraltro con una quantità di “se” e di “forse” di valore esponenziale, hanno più il sapore della farneticazione piuttosto che del sano discorso scientifico.
Una volta però rifiutate tutte le attuali prospettive oncologiche, è legittimo chiedersi come debbano essere inquadrati i successi ottenuti dalla medicina ufficiale ed eventualmente dalle correnti alternative.
A tal proposito è utile ricordare che l’odierna epistemologia ha dimostrato come i contributi di causalità degli elementi contestuali e co-testuali di una teoria, se indefinibili, sono aleatori, specialmente nello spazio ultradimensionale.
Ciò significa in pratica che i dati o facts positivi e ritenuti probanti riguardo a un principio di base (ad esempio la citata anomalia riproduttiva cellulare), ottenuti utilizzando un numero di variabili ristretto rispetto alla complessità della malattia umana, non sono affidabili, dal momento che dipendono esclusivamente dalle condizioni iniziali ipotizzate.
Laddove si ammette difatti la possibilità di miglioramenti e guarigioni, sotto il profilo logico non è ammissibile attribuirli a questo o quel metodo di cura più o meno ufficiale, dal momento che, non potendo essere specificate e comprese tutte o la maggior parte delle componenti che entrano in giuoco nell’oggetto uomo, non possono sussistere condizioni di decidibilità assoluta.
Paradossalmente, l’eventuale effetto positivo di ciascun sistema terapeutico potrebbe discendere da elementi sconosciuti a tutti e non preventivati, i quali però, potrebbero essere influenzati o determinati in qualche misura da ognuno di essi.
Ci si troverebbe cioè nella condizione in cui tutti avrebbero a ragione il diritto di magnificare il proprio punto di vista, pur non conoscendo nessuno il vero motivo dei propri successi.
In questo caso allora anche la più accurata e rigorosa sperimentazione assume un carattere finzionale piuttosto che di vera corrispondenza con la realtà, risultando alla fine come una continua sterile petitio princìpi.
Accantonata completamente perciò la cornice concettuale dell’odierna oncologia, con tutte le varianti interpretative d’ordine genetico, immunologico, tossicologico, rimane come unica via logicamente esperibile, quella delle malattie infettive, da guardare eventualmente, e da riconsiderare, con occhi diversi da come è stata considerata fino ad oggi.
Confortano peraltro una simile conclusione due considerazioni, una di ordine storico e una di ordine epidemiologico: la prima risulta dal fatto che nell’approccio terapeutico al malato il salto di qualità, la possibilità cioè di curarlo concretamente, è stato determinato quasi esclusivamente dallo sviluppo della microbiologia; la seconda discende dall’analisi del prolungamento della vita media verificatosi negli ultimi decenni, il quale, essendo associato a un inevitabile cambiamento nella reattività degli individui, si può ipotizzare come un fattore determinante nello sviluppo di patologie infettive atipiche.
Per trovare allora l’eventuale ens morbi cancerogeno nell’orizzonte della microbiologia, appare utile risalire preliminarmente ai concetti tassonomici di base della biologia, dove ci si accorge che esiste un notevole grado di indecisione e di indeterminazione.
Già nel secolo scorso difatti un biologo tedesco, Ernesto Haeckele (1834-1919), partendo dal concetto linneiano che fa dei viventi due grandi regni –quello dei vegetali e quello degli animali- aveva denunciato la difficoltà di sistemazione di tutti quegli organismi microscopici che per le loro caratteristiche e proprietà non potevano essere attribuiti o al regno animale o a quello vegetale, e per i quali aveva proposto un terzo regno denominato dei Protisti.
“Questo vasto e complesso mondo muove da entità a struttura subcellulare – siamo al limite della vita- quali i viroidi e i virus, per arrivare, attraverso i micoplasmi, ad organismi di più elevata organizzazione: batteri, attinomiceti, mixomiceti, funghi, protozoi e, se si vuole, anche qualche alga microscopica.” (1).
L’elemento comune a questi organismi è il sistema di alimentazione, che, compiendosi (salvo poche eccezioni) per diretto assorbimento di composti organici solubili, li differenzia sia dagli animali, che si nutrono ingerendo anche e soprattutto materiali organici solidi trasformati poi con i processi della digestione, sia dai vegetali capaci, partendo da composti minerali e utilizzando energia luminosa, di sintesi della sostanza organica.
La tendenza attuale dei biologi riprende, sia pure perfezionato, il concetto del terzo Regno; qualcuno però va ancora più oltre, argomentando come in esso i Funghi debbano figurare in una diversa sistemazione.
Se poniamo –così difatti riferisce O. Verona (2)- nel primo regno gli organismi pluricellulari dotati di capacità fotosintetiche (piante) e nel secondo gli organismi sprovvisti di pigmenti fotosintetici (animali), gli uni e gli altri costituiti da cellule provviste di nucleo distinto (eucarioti); e, in addizione, poniamo in altro regno (Protisti) gli organismi monocellulari sprovvisti di clorofilla e con cellule prive di nucleo distinto (procarioti), i Funghi possono costituire un loro Regno per l’assenza di pigmenti fotosintetici, l’essere mono ma anche pluricellulari e, infine, possedere nucleo distinto.
Di più, rispetto a tutti gli altri micro organismi possiedono una strana proprietà, quella di avere una struttura di base microscopica (l’ifa), e nel contempo la tendenza ad assumere notevoli dimensioni (perfino di molti kg.), rimanendo invariata la capacità di adattamento e di riproduzione ad ogni livello di grandezza.
In questo senso perciò non possono essere considerati propriamente come organismi, ma come aggregati cellulari sui generis con comportamento organismico, dal momento che ciascuna cellula mantiene intatte le proprie potenzialità di sopravvivenza e di riproduzione, indipendentemente dalla struttura in cui è inserita.
Risulta chiaro, perciò, come sia estremamente arduo identificare in tutti i suoi processi biologici delle realtà viventi così complesse, tant’è che permangono a tutt’oggi in micologia enormi lacune e approssimazioni di carattere tassonomico.
Vale la pena allora soffermarsi più approfonditamente su questo strano mondo dalle caratteristiche così peculiari, cercando di sottolineare quegli elementi in qualche modo attinenti con una problematica oncologica.
1) I Funghi sono organismi eterotrofi e pertanto abbisognano, con riferimento al carbonio e all’azoto, di composti preformati, di cui i carboidrati semplici, ad esempio i monosaccaridi (glucosio, fruttosio, mannosio) sono gli zuccheri più di altri utilizzati.
Ciò significa che nel loro ciclo vitale dipendono da altri esseri viventi, che in varia misura debbono essere sfruttati, sia in maniera saprofitica ( nutrendosi di scorie organiche) che in maniera parassitaria (attaccando direttamente i tessuti dell’ospite), per esigenze alimentari.
2) Presentano una grande varietà di manifestazioni riproduttive (sessuali, asessuali, per gemmazione, spesso tutti osservabili in un unico micete), unita a una grande varietà morfostrutturale dei relativi organi, finalizzate alla formazione delle spore cui è affidata la continuazione e la diffusione della specie.
3) E’ possibile osservare frequentemente in micologia un particolare fenomeno, denominato etrocariosi, caratterizzato dalla coesistenza di nuclei normali e nuclei mutati, in cellule che hanno subito una fusione ifale.
Oggigiorno esiste una grossa preoccupazione, da parte dei fitopatologi, per la formazione di individui geneticamente anche molto diversi dai genitori, attuatasi mediante tali cicli riproduttivi definiti parasessuali.
L’uso indiscriminato di fitofarmaci difatti ha spesso determinato mutazioni dei nuclei di molti funghi parassiti, con conseguente formazione di eterocarion talvolta particolarmente virulenti nella loro patogenicità.(3).
4) Nella dimensione parassitaria i funghi possono sviluppare dalle ife delle strutture specializzate a forma di rostro più o meno ristretto (l’appresssorio e l’austorio), che permettono la penetrazione nell’ospite.
5) La produzione di spore può essere così abbondante da comprendere sempre, ad ogni ciclo, decine, centinaia e perfino migliaia di milioni di elementi che possono essere dispersi a notevole distanza dal punto di emissione (4) (basta ad esempio un piccolo movimento, per determinarne l’immediata diffusione).
6) Le spore possiedono una resistenza enorme alle aggressioni esterne, essendo capaci di rimanere dormienti, se le condizioni ambientali non lo consentono, per molti anni, conservando inalterate le potenzialità rigenerative.
7) Il coefficiente di sviluppo degli apici ifali, dopo la germinazione è estremamente veloce (100 micron al minuto in ambiente ideale), con una capacità di ramificazione e quindi con la comparsa di una nuova regione apicale che in qualche caso si aggira sull’ordine dei 40-60 secondi (5).
8) La forma del fungo non è mai definita, essendo imposta dall’ambiente in cui si sviluppa.
E’ possibile osservare ad esempio uno stesso micelio allo stato di semplici ife isolate in ambiente liquido, oppure in forma di aggregazioni via via sempre più solide e compatte, fino alla formazione di pseudoparenchimi (stromi) e di filamenti e cordoni miceliari (rizomorfe).(6)
Parimenti è possibile constatare in funghi diversi la stessa forma, laddove si debbano uniformare allo stesso ambiente (è il cosiddetto fenomeno del dimorfismo).
9) La parziale o totale sostituzione delle sostanze nutritive induce frequenti mutazioni nei funghi, che testimoniano l’accentuata adattabilità a tutti i substrati.
10) Quando esistono condizioni nutrizionali precarie molti funghi reagiscono con la fusione ifale (tra funghi vicini), che consente loro di esplorare più facilmente e con processi fisiologici più completi il materiale a disposizione.
Tale proprietà, che sostituisce alla competizione la cooperazione, li fa distinguere da ogni altro micro organismo e per questo Buller li chiama organismi sociali.(7)
11) Nel caso in cui una cellula invecchi o venga danneggiata (ad esempio da sostanze tossiche), molti funghi i cui setti intercellulari sono dotati di un poro, reagiscono con l’attuazione di un processo di difesa chiamato flusso protoplasmatico, mediante il quale trasferiscono il nucleo e il citoplasma della cellula danneggiata in una altra sana, conservando inalterate le proprie potenzialità biologiche.
12) I fenomeni di regolazione dello sviluppo di ramificazione ifale, tuttora sconosciuti (8), consistono o in uno sviluppo ritmico o nella comparsa di settori, che, pur prendendo origine dal sistema ifale, sono autoregolati (9), cioè indipendenti dalla regolazione e dal comportamento del resto della colonia.
13) I funghi sono in grado attuare un’infinità di modificazioni al proprio metabolismo per vincere i meccanismi di resistenza dell’ospite, rappresentati da azioni plasmatiche e biochimiche, oltre che da aumento volumetrico (ipertrofia) e numerico (iperplasia) delle cellule colpite.(10)
14) Sono dotati di una tale aggressività da attaccare oltre che piante, tessuti animali, derrate alimentari, altri funghi, anche protozoi, amebe e nematodi.
La caccia a questi ultimi ad esempio si attua con particolari modificazioni ifali che costituiscono delle vere e proprie trappole miceliari, ad intreccio, vischiose, o ad anello, che portano all’immobilizzazione dei vermi e alla susseguente invasione ifale.
In certi casi la potenza aggressiva fungina è così alta da consentire, a un anello cellulare formato da sole tre unità, di stringere, imprigionare ed uccidere una preda in poco tempo malgrado i suoi disperati scuotimenti.
Dalle brevi notazioni suesposte dunque, sembra giusto dedicare una maggiore attenzione al mondo dei funghi, specialmente in considerazione del fatto che biologi e microbiologi in quasi tutte le descrizioni e interpretazioni sulla loro forma, fisiologia e riproduzione, evidenziano costantemente delle lacune e dei vuoti di conoscenza di vaste proporzioni.
Una causa vera perciò, estremamente logica della proliferazione neoplastica, sembra risiedere proprio in un fungo, nel più potente cioè e nel più organizzato micro organismo che si conosca, e probabilmente in quei Funghi Imperfetti (così denominati a motivo della disconoscenza e dell’incomprensione dei loro processi biologici), la cui prerogativa essenziale risiede nella loro capacità fermentativa.
Entro l’esiguo raggruppamento dei funghi patogeni, dunque, si può nascondere la più grave malattia per l’uomo, localizzabile ormai solo con alcune facili deduzioni in grado di concludere il cerchio fino alla soluzione.
Considerando perciò, tra le specie parassite umane, che Dermatofiti e Sporotrichum dimostrano una morbosità troppo specifica, e che Attinomiceti, Toluropsis e Histoplasma per esperienza entrano in un contesto patologico molto raramente, ecco che emerge nitidamente la Candida Albicans, come unico responsabile della proliferazione tumorale. E in effetti, riflettendo un momento sulle sue caratteristiche, non poche analogie emergono con la malattia neoplastica, quali tra le più evidenti:
1) Attecchimento ubiquitario; non viene risparmiato praticamente nessun organo o tessuto.
2) Costante assenza di iperpiressia.
3) Sporadico e indiretto coinvolgimento dei tessuti differenziati.
4) Invasività di tipo quasi esclusivamente focale.
5) Debilitazione progressiva.
6) Refrattarietà di fronte a qualsiasi trattamento.
7) Proliferazione favorita da una molteplicità di concause indifferenti.
8) Configurazione sintomatologica di base con struttura tendente alla cronicizzazione.
Esiste quindi una potenzialità patogena eccezionalmente alta e diversificata in questo micete di pochi micron che, pur se non rintracciabile con gli attuali strumenti sperimentali, non può essere disconosciuta dal punto di vista clinico.
Di certo poi non può soddisfare la sua attuale sistemazione nosologica perché, non tenendo conto delle infinite possibili configurazioni parassitiche, risulta in pratica troppo semplicistica e riduttiva.
Si deve ipotizzare perciò che la Candida, nel momento in cui viene attaccata dal sistema immunologico dell’ospite oppure da un trattamento antimicotico convenzionale, non reagisce secondo gli usuali schemi codificati, ma si difende trasformandosi in elementi sempre più piccoli e indifferenziati ancorché integralmente fecondi, fin quasi a occultare la propria presenza, sia all’organismo parassitato, sia ad eventuali indagini diagnostiche. Il suo comportamento si può considerare un po’ come ad elastico:
Quando sussistono condizioni favorevoli di attecchimento, si espande florida su un epitelio; non appena si innesca la reazione tissutale, si trasforma massivamente in una forma meno produttiva ma non attaccabile, la spora; qualora poi, si determinino delle soluzioni di continuo sub epiteliali, coniugate con una sopraggiunta areattività, in quel momento la spora si insinua approfondendosi nel connettivo sottostante, in un tale stato di inattaccabilità da risultare irreversibile.
In pratica cioè, la Candida si avvale di una intercambiabilità strutturale, che utilizza a seconda delle difficoltà presenti nella propria nicchia biologica:
Così, nel suolo, nell’aria, nell’acqua, nella vegetazione ecc., vale a dire laddove non è prevista alcuna reazione anticorpale, è libera di espandersi in una forma vegetativa matura; negli epiteli invece assume una forma mista, ridotta alla sola componente sporificata quando penetra nei piani più profondi, dove tende di nuovo ad espandersi in presenza di condizioni di areattività tissutale.
Iniziale passo obbligato di una ricerca approfondita sarebbe allora quello di capire se e in quali dimensioni trascende la spora, quali meccanismi mette in moto per nascondersi, o, ancora, se conserva sempre la sua caratteristica di parassita oppure si dispone in una posizione di neutra quiescenza, difficile se non impossibile da rilevare da parte del sistema immunitario.
Per queste e per altre simili domande, purtroppo oggi non ci si può avvalere di presidi adatti, né teorici né tecnici, dimodoché gli unici suggerimenti validi possono pervenire solo dalla clinica e dall’esperienza, capaci, se non di fornire soluzioni immediate, almeno di stimolare ulteriori domande.
Ammettendo dunque che la Candida Albicans sia l’agente responsabile dello sviluppo tumorale, una terapeutica mirata dovrebbe tenere conto non solo delle sue manifestazioni macroscopiche e statiche, ma anche di quelle ultramicroscopiche, specialmente nella loro valenza dinamica, cioè riproduttiva.
Ed è molto probabilmente nei punti di transizione dimensionale, cioè, che vanno individuati i siti d’attacco, in una bonifica che comprenda tutto lo spettro dell’espressione biologica parassitaria, vegetativa, sporale ed eventualmente ultradimensionale, al limite virale.
Se ci si sofferma invece solo ai fenomeni più evidenti, si rischia di somministrare pomate e unguenti a vita (nelle dermatomicosi o nella psoriasi), o di aggredire maldestramente (con chirurgia, radioterapia e chemioterapia) le enigmatiche masse tumorali, con il risultato di favorirne esclusivamente la propagazione, peraltro già di per sé così esaltata nelle forme fungine.
Perché, ci si domanda però, si dovrebbe supporre una diversa e esaltata attività della Candida Albicans, dal momento che è stata descritta abbondantemente nelle sue manifestazioni patologiche?
La risposta risiede nel fatto che essa è stata studiata solo in un ambito patogeno, cioè solo in rapporto ai tessuti di rivestimento di un organismo; in realtà la Candida possiede una valenza aggressiva diversificata in funzione del tessuto interessato; è solo nel connettivo o nell’ambiente connettivale difatti, e non nei tessuti differenziati che trova le condizioni di un‘espansione illimitata.
Questo peraltro emerge riflettendo un attimo sulla principale funzione del tessuto connettivo, che è proprio quella di veicolare e di rifornire di sostanze nutritive le cellule di tutto l’organismo.
E’ in questa sede, difatti, da considerare come un ambiente esterno sui generis rispetto alle cellule più differenziate (nervose, muscolari, ecc.), che si verifica la competizione alimentare:
da una parte gli elementi cellulari dell’organismo che cercano di scalzare ogni forma di invasione, dall’altra le cellule fungine che tentano di assorbire sempre maggiori quantità di sostanze nutritive, obbedendo alla necessità biologica della specie di tendere alla formazione di masse e colonie sempre più grandi e diffuse.
Dalla combinazione di vari fattori inerenti l’ospite e l’aggressore, è possibile dunque ipotizzare l’evoluzione di una candidosi:
1°Stadio. Epiteli integri, assenza di fattori debilitanti.
La Candida può rimanere solo come saprofita.
2°Stadio. Epiteli non integri (erosioni, abrasioni ecc.), assenza di fattori debilitanti, condizioni transitorie
inusuali (acidosi, dismetabolismo, dismicrobismo ecc.).
La Candida si espande superficialmente (micosi classica, esogena ed endogena).
3°Stadio. Epiteli non integri, presenza di fattori debilitanti (tossici, radianti, traumatici, neuropsichici
ecc.).
La Candida si approfondisce nei piani sub epiteliali, da cui eventualmente viene veicolata in
tutto l’organismo tramite il sangue e la linfa (micosi intima). (11)
Gli stadi 1 e 2 sono quelli più studiati e conosciuti, mentre lo stadio 3, pur descritto nella sua diversità morfologica, viene ricondotto a una silente forma di saprofitismo.
Questo dal punto di vista logico non è accettabile, poiché nessuno può dimostrare l’innocuità delle cellule fungine presenti nelle parti più intime dell’organismo.
Assumere difatti che la Candida possa avere lo stesso comportamento di saprofita osservabile sugli epiteli integri allorquando è riuscita ad insinuarsi nei piani più profondi, è un’operazione a dir poco rischiosa, poiché dovrebbe essere sostenuta da concetti assolutamente aleatori .
Non solo difatti si dovrebbe ammettere a priori l’inidoneità dell’ambiente connettivale sotto il profilo nutritivo per la Candida, ma anche, nel contempo, l’onnipotenza sempre e comunque delle difese ospiti nei confronti di una struttura organica di per sé invasiva, che dovrebbe risultare poi del tutto inerme nei tessuti più profondi.
Per quanto riguarda il primo punto però, è difficile immaginare che un micro organismo così capace di adattarsi a qualsiasi substrato, non riesca a trovare elementi di sussistenza nella sostanza organica umana; parimenti azzardato sembra ipotizzare un‘efficienza difensiva totale dell’organismo umano in ogni momento dell’esistenza.
Riguardo infine ad una presunta tendenza ad uno stato di quiescenza e di vulnerabilità di un agente patogeno qual è il fungo, del micro organismo cioè più invasivo e più aggressivo che esiste in natura, tutto ciò ha piuttosto il sapore dell’incoscienza.
Urge pertanto, in base alle considerazioni suesposte, una rapida presa di coscienza sulla pericolosità di un tale agente patogeno capace di assumere con disinvoltura le più svariate configurazioni biologiche, sia biochimiche che strutturali, in funzione delle condizioni degli organismi parassitati.
Il gradiente d’espansione fungino, difatti, è tanto più alto quanto meno eutrofico e quindi reattivo è il tessuto sede di invasione micotica.
Nel corpo umano quindi, ogni elemento, esterno o interno, che determina una diminuzione dello stato di benessere di un organismo, di un organo o di un tessuto, possiede una potenzialità oncogena, non tanto per un’eventuale intrinseca capacità lesiva, quanto per una generica proprietà di favorire l’attecchimento fungino, cioè tumorale.
La rete causale allora, così spesso invocata nell’odierna oncologia, in cui entrano fattori tossici, genetici, immunologici, psicologici, geografici, morali, sociali ecc., in realtà trova una giusta collocazione solo in un’ottica infettiva micotica, dove la sommazione aritmetica e diacronica di elementi nocivi funge da co-fattore all’aggressione esterna.
Dimostrata così in via teorica l’equivalenza tumore = fungo, è chiaro come la sua chiave interpretativa ponga una serie di interrogativi sulle attuali terapie, sia oncologiche (utilizzate senza indici di riferimento), sia antimicotiche (utilizzate solo a livello superficiale).
Quale strada conviene percorrere oggi, allora, di fronte a un malato di cancro, dal momento che i trattamenti oncologici convenzionali, non essendo eziologici, possono portare effetti positivi solo in via occasionale?
In un’ottica fungina, difatti, l’efficacia della chirurgia risulta notevolmente ridotta dal carattere di estrema diffusibilità e invasività di un aggregato miceliale, cosicché un suo potere risolutorio è legato al caso, alle condizioni cioè in cui si ha la fortuna di asportare completamente tutta la colonia (la qual cosa spesso è resa possibile da uno stato di incistazione sufficiente).
La chemioterapia e la radioterapia poi, possono produrre quasi esclusivamente effetti negativi, sia per la loro inefficacia specifica, sia per l’alta tossicità e lesività nei confronti dei tessuti, che in ultima analisi favorisce maggiormente l’aggressività micotica.
Una terapia antifungina – antitumorale specifica, invece, dovrebbe tenere conto dell’importanza del tessuto connettivo unitamente alla complessità riproduttiva dei funghi; solo attaccandoli in tutte le bande d’esistenza nella sede nutritizia a loro più confacente, è possibile sperare di eradicarli dall’organismo umano.
Il primo passo da compiere perciò è quello di rafforzare il malato di cancro con misure ricostituenti generiche (alimentazione, integratori, regolazione dei ritmi e delle funzioni vitali), in grado di potenziare già da sole aspecificamente le difese dell’organismo.
Riguardo poi alla possibilità di disporre di quei farmaci risolutori che purtroppo oggi non esistono, appare utile, nel tentativo di trovare una sostanza antifungina molto diffusibile e quindi efficace, di considerare l’estrema sensibilità della Candida nei confronti del bicarbonato di sodio (ad esempio nella candidosi orale dei lattanti), la qual cosa peraltro si accorda con la sua accentuata capacità di riprodursi in ambiente acido.
Teoricamente perciò, escogitando dei trattamenti in cui si riesca a mettere il fungo a contatto con alte concentrazioni di bicarbonato, si dovrebbe assistere alla regressione delle masse tumorali interessate.
E questo è quanto avviene in molti tipi di tumore, specialmente quello dello stomaco e quello del polmone, il primo suscettibile di regressione proprio per la sua posizione anatomica “esterna”, il secondo per la notevole diffusibilità del bicarbonato nel sistema bronchiale e per la sua alta responsività alle misure ricostituenti generali.
Applicando dunque una simile impostazione terapeutica, è stata possibile in alcuni pazienti la completa remissione della sintomatologia e la normalizzazione dei dati strumentali.
Vengono riportati qui di seguito alcuni casi (quelli più nitidi, sopravvissuti da più di 10 anni).
Caso 1) Una paziente di 70 anni, con diagnosi di adenocarcinoma dello stomaco, supportata dai comuni tests oncologici (Tac, biopsia, ecc.), due giorni prima dell’operazione fissata, accettando il consiglio di tentare una strada meno cruenta, esce dall’ospedale.
Per il periodo di un mese le viene somministrato bicarbonato di sodio (1 cucchiaino abbondante in un bicchiere d’acqua) da assumere mezz’ora prima della colazione, cioè a stomaco vuoto, con lo scopo di potenziarne al massimo l’attività.
Dopo circa due mesi avviene la normalizzazione della funzionalità gastrica con attenuazione e poi perdita di tutta la sintomatologia connessa con la patologia neoplastica (inappetenza, pesantezza digestiva, spossatezza, accessi lipotimici, ecc.)
Dopo un esame endoscopico eseguito a distanza di un anno dall’inizio della terapie, attestante la completa remissione della formazione neoplastica, la paziente rifiuta ulteriori ricerche.
E’ tuttora vivente a distanza di 15 anni dal trattamento.
Caso 2) Paziente di 67 anni, con una storia di ulcera gastrica alle spalle, al quale essendo diagnosticato in ambiente ospedaliero nel tumore dello stomaco, viene consigliata una gastrectomia.
Egli, convinto che la sua malattia sia solo un’esacerbazione dell’ulcera, spinto perciò a trovare alternative all’intervento chirurgico, si sottopone a terapia con bicarbonato, attuata come nel caso 1, la quale determina in pochi mesi la regressione della sintomatologia neoplastica.
Dopo un periodo di circa 18 mesi, durante il quale non viene effettuato nessun controllo, in seguito ad una ripresa della sintomatologia viene riproposta l’assunzione di bicarbonato come in precedenza, con cui in breve tempo viene ristabilita la funzionalità gastrica, mantenuta peraltro per circa 8 anni, fino a quando cioè si perdono le tracce del paziente stesso.
Caso 3) Paziente di 58 anni, affetto da carcinoma dello stomaco, diagnosticato tramite esame istologico eseguito su reperto endoscopico.
Escluse per scelta personale le vie ufficiali, vengono accettate le indicazioni terapeutiche attuate nei due casi precedenti, da cui esita una normalizzazione del quadro sintomatologico per circa tre anni, vale a dire fino a quando vengono sospese ulteriori visite di controllo.
Caso 4) Paziente di 71 anni, che si presenta, ad un controllo effettuato in ambiente ospedaliero nel settembre 1983, in un grave stato di emaciazione determinata dal notevole calo ponderale (dell’ordine di 15 Kg) sopraggiunto negli ultimi mesi.
Essendo stata diagnosticata una neoplasia dello stomaco e approntato uno schema terapeutico oncologico combinato, ne viene data notizia ai parenti, i quali inoltre vengono messi al corrente delle difficoltà e dei rischi di un simile trattamento, da attuare in un malato estremamente defedato.
A questo punto la moglie, rifiutando le strade ufficiali, decide di riportare il marito a casa e di tentare l’alternativa “innocua” del bicarbonato, la somministrazione del quale (ad una dose leggermente inferiore ai casi precedenti), restaura un appetito e una funzionalità digestiva soddisfacente.
Per circa 8 mesi si assiste ad una certa fatica a riacquistare peso; dopo tale periodo la ripresa diviene man mano più evidente fino al recupero quasi totale dei chili perduti (entro 24 mesi), con un sensibile miglioramento delle condizioni generali.
Caso 5) Paziente di 51 anni con diagnosi (fine 1983) di carcinoma bronchiale in sede lombare inferiore destra, al quale, espletati gli accertamenti oncologici di routine (con Tac nettamente positiva, ma con aspirato bronchiale negativo), viene proposto intervento chirurgico.
Dopo una consultazione avvenuta tra i familiari, essendosi deciso di rimandare di qualche tempo quanto stabilito dai sanitari, viene tentato il trattamento con bicarbonato.
Esami radiologici effettuati a distanza di circa 18 mesi, durante i quali non si verificano gli episodi emoftoici di inizio malattia, evidenziano ancora la presenza di una massa nodulare nel lobo inferiore destro, le sue dimensioni però appaiono più piccole e i suoi contorni più regolari.
Caso 6) Paziente di 48 anni, con tumore al lobo medio del polmone, attestato da tutte le ricerche oncologiche, messo in lista d’attesa (inizio 1983) per intervento chirurgico, la cui modalità d’esecuzione risulta peraltro non essere completamente definita a motivo di un dubbio sconfinamento della massa neoplastica.
Uscito dall’ospedale contro il volere dei sanitari (da sottolineare che per mesi è stato ricercato dagli addetti ospedalieri), si sottopone a terapia a base di bicarbonato, che in breve tempo ristabilisce condizioni ottimali di salute
In un esame Rx eseguito dopo circa 9 mesi, è possibile osservare, al posto della massa neoplastica, una tenue linea trasversale alla base del lobo medio, da interpretare verosimilmente come residuo cicatriziale.
E’ tuttora vivente.
Caso 7) Paziente di 55 anni affetto da neoplasia del retto, evidenziatasi sintomatologicamente (1981) con disturbi all’evacuazione e emissione franca di sangue, e a livello strumentale mediante esame endoscopico.
Consigliato dai sanitari di sottoporsi a resezione rettale con conseguente instaurazione di ano preternaturale, egli, nel tentativo di evitare una penosa mutilazione, si sottopone a terapia locale di bicarbonato, eseguita mediante clisteri contenenti una soluzione molto concentrata (8 cucchiaini in un litro).
A distanza di 3 anni era ancora vivente.
Considerazioni critiche:
Dal sistema di pensiero e dai casi brevemente illustrati, sembra opportuno analizzare gli spunti nuovi e nel contempo concreti che possano emergere, in chiave sia critica che autocritica, nella patologia neoplastica.
A ben guardare il metodo terapeutico proposto, difatti, ci si accorge che esso possiede già in sé, indipendentemente dalla reale efficacia, un suo valore teorico innovativo, primo perché mette in discussione i metodi attuali e i suoi presupposti concettuali, secondo perché rappresenta una proposta alternativa concreta a tutta la congerie di posizioni magniloquenti ma troppo generiche, e quindi inefficaci, oggi esistenti.
Identificare invece una sola causa tumorale, pur se con tutti i possibili impliciti condizionamenti d’ordine generale, rappresenta un passo avanti indispensabile per uscire da quella forma di passività determinata dalla mancanza di risultati, responsabile di comportamenti troppo fideistici e quindi sfiduciati.
Il dato di fatto dunque che un approccio medico non convenzionale possa apportare in alcuni pazienti benefici sotto ogni profilo superiori ai trattamenti ufficiali, dimostrando anche un valore risolutivo, dovrebbe indurre a ricercarne le ragioni di fondo, cercando di evitare atteggiamenti di sufficienza limitativi e improduttivi.
Si può discutere perciò se è il bicarbonato il fautore delle guarigioni o invece l’insieme delle condizioni instaurate, oppure l’intervento di fattori neuropsichici inidentificati, o altro ancora; quello che rimane indiscusso però è il fatto che un certo numero di persone, deviando dai metodi convenzionali, è potuto ritornare alla normalità di vita senza sofferenze e senza mutilazioni.
Il messaggio che ne deriva perciò è un appello a ricercare quelle soluzioni che si accordino con il semplice presupposto Ippocratico del “benessere” dell’uomo, vale a dire è uno stimolo a valutare criticamente le terapie oncologiche odierne, in grado di garantire indubitabilmente solo sofferenze.
Una cosa è certa, oggi non è più lecito, in preda al panico e alla “sindrome del tumore”, tollerare delle carneficine effettuate su scala mondiale, ammantate per di più dal “misericordioso” obbligo di dover aiutare e di essere aiutati, senza il supporto di fondamenti eziologici certi.
Mettendosi difatti per un attimo in una diversa prospettiva, tentando di vedere il pianeta tumore con occhi più naturali, ipotizzando cioè una genesi più semplice della proliferazione neoplastica, al limite quella fungina, si rimane sbalorditi e nello stesso tempo atterriti dalla profana mano della medicina ufficiale, armata di un cinismo e di una superficialità abissali.
I casi negativi, si potrebbe argomentare però, rappresentano l’inevitabile prezzo da pagare per salvare qualcuno.
Se le sofferenze e i decessi autorizzati stanno in un rapporto enormemente negativo nei confronti di eventuali guarigioni (queste sì riconducibili al caso o a fattori estranei alle terapie), allora non è più ammissibile voler operare a tutti i costi, in quanto così facendo si delinea solo la possibilità di fare del male.
Ma le guarigioni avvenute in seguito ai protocolli oncologici attuali, si ribatterebbe, non sono poi in numero così esiguo, anzi in certe specie di tumore sono riscontrabili in alta percentuale.
Simili risultanze però, è facile rilevare, non sono altro che l’esito di atteggiamenti propagandistici sostenuti da argomentazioni surrettizie volte a distribuire indistintamente luce impropria a tutto il panorama delle entità nosologiche tumorali.
Raggruppare allora nello stesso cespite tumori maligni occasionalmente o mai guariti (come quello del polmone o dello stomaco), insieme a quelli al limite della benignità (come la maggior parte dei tiroidei o dei prostatici ecc.), oppure insieme a quelli che hanno un’evoluzione positiva autonoma malgrado la chemioterapia (ad esempio le leucemie dell’infanzia), appare un’operazione subdola e mistificatoria che ha l’unico scopo di coagulare quei consensi impossibili da ottenere con un comportamento intellettualmente corretto.
Se ad esempio su un certo numero di specie di tumore, solamente uno risulta suscettibile di regredibilità, non è lecito costruire un diagramma nosologico che informi sulla incidenza globale della terapeutica applicata indistintamente sulla totalità delle neoplasie; sarebbe più corretto al contrario denunciarne l’inutilità, anzi la dannosità, lasciando, per quanto riguarda l’eteroplasia che denota un andamento positivo, un dominio aperto di ipotesi alternative.
Ritornando allora, ad esempio, alle leucemie dell’infanzia, la loro frequente fausta evoluzione, potrebbe essere messa in correlazione con elementi estranei alle terapie somministrate, come ad esempio con quelle terapie di sostegno comunemente apportate, da considerare particolarmente efficaci in organismi giovani, oppure con la proprietà del tessuto connettivo di acquisire, in una determinata epoca di sviluppo, quella maturazione necessaria al potenziamento di un’attività immunologica dimostratasi, in un determinato momento della vita, intrinsecamente insufficiente.
Accade spesso difatti, in medicina, che alcune malattie scompaiano da sole senza motivi apparenti, ma solo in correlazione con determinati passaggi di maturazione organica.
Tanto per rimanere in tema oncologico – micologico, è noto come alcune micosi dell’infanzia croniche e recidivanti refrattarie a qualsiasi trattamento, improvvisamente ad un certo stadio dello sviluppo scompaiano senza lasciare residui.
Dalle brevi notazioni critiche esposte, moltiplicabili inutilmente all’infinito, il panorama della malattia tumorale risulta dunque estremamente vario e complesso, talché assumere posizioni esclusive o preclusive sia in senso convenzionale che anticonvenzionale può risultare indice di ristrettezza mentale, specialmente in ragione del fatto che il terreno su cui ci si muove è in gran parte sconosciuto e quindi non inquadrabile in maniera univoca o standardizzata.
Laddove infatti ci si addentra nello spazio occupato da elementi non visibili e ultramicroscopici, dovendosi inevitabilmente la strutturazione della conoscenza appoggiare sulla costruzione di una molteplicità di entità teoriche, il rischio di uno slittamento da un inquadramento reale in uno funzionale può trasformarsi in un dato di fatto pernicioso.
Il fatto poi che in pratica la medicina odierna, non solo non fornisca dei criteri interpretativi sufficienti, ma adotti metodiche pericolose, dannose e insensate, anche se in buona fede, deve spingere chiunque alla ricerca di alternative logiche ed umane e, in via subordinata, a guardare con attenzione e con occhi disponibili qualsiasi teoria e posizione che osi alzare la testa, sempre con logicità, contro quel giogo così mostruoso ed inumano che è il tumore.
In una prospettiva alternativa, allora, bisognerebbe programmare ex-novo la sperimentazione in campo oncologico, predisponendo le ricerche (epidemiologiche, eziologiche, patogenetiche, cliniche e terapeutiche), in linea con i concetti di una microbiologia e di una micologia rinnovata, che porterebbero con molta probabilità alle conclusioni già esposte, e cioè che il tumore è un fungo, la CandidaAlbicans.
L’eventuale riscontro poi, che non solo i tumori, ma che la maggior parte delle malattie cronico-degenerative possa ricondursi a una causalità micotica, dove eventualmente possa rientrare uno spettro più ampio dei parassiti fungini (ad esempio le malattie del connettivo, la sclerosi multipla, la psoriasi, il diabete II, ecc.), rappresenterebbe quel salto di qualità che, aprendo la via ad una rivoluzione del pensiero medico, potrebbe migliorare enormemente l’aspettativa di vita, sia in senso qualitativo che quantitativo.
Per concludere, se fino ad oggi il mondo dei funghi, cioè dei micro organismi più complessi e più aggressivi che si conoscono, è potuto passare inosservato, la speranza del presente lavoro è che si possa prendere rapidamente coscienza della loro pericolosità, in modo da veicolare le risorse della ricerca medica non in vicoli ciechi, ma contro i veri nemici dell’organismo umano, gli agenti infettivi esterni.
Sommario:
Il presente lavoro intende richiamare l’attenzione sul possibile ruolo eziologico dei funghi nella malattia tumorale, in particolare della Candida Albicans.
Partendo difatti dalla loro infinita capacità di adattamento a tutti i substrati biologici, nonché dalla loro estrema potenzialità patogena, di molto superiore ad ogni altro micro organismo, non risulta ormai più accettabile una loro collocazione in quello spazio indefinito e indefinibile che comprende i cosiddetti patogeni occasionali.
Se, come è noto, i funghi sono in grado di attaccare qualsiasi sostanza organica, specialmente quella in via di degradazione, allora è possibile ipotizzare un loro attecchimento nell’intimità dei tessuti, laddove particolari condizioni contingenti lo permettano.
Un trattamento finalizzato alla loro eradicazione deve quindi tenere conto sia della loro diffusibilità che della loro complessità biologica, cosa che non può essere ottenuta oggi né con le terapie oncologiche, né tantomeno con quelle antimicotiche.
I 7 casi illustrati, trattati in maniera peculiare e risolutoria con il bicarbonato di sodio, una sostanza alcalina molto diffusibile e quindi notevolmente attiva contro la Candida in tutte le sue manifestazioni, possono indicare un nuovo modo di procedere in campo oncologico.
Solo abbandonando la tesi oncologica universalmente condivisa, che il tumore derivi cioè da un’anomalia riproduttiva cellulare, e reimpostando tutta la ricerca in un’ottica infettiva micotica, è lecito sperare nella definitiva sconfitta del cancro.
Note bibliografiche:
1) Verona O., “Il vasto mondo dei funghi”, Bologna 1985, pag.1
2) Ivi, pag.2
3) Rambelli A., “Fondamenti di micologia”, Bologna 1981, pag.35
4) Ibidem
5) Ivi, pag.28
6) Verona O., cit. pag.5
7) Rambelli A., cit. pag.31
8) ivi, pag.28
9) ivi, pag.29
10) ivi, pag.266
11) ivi, pag.273
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